Le persone che mi capita di incontrare quotidianamente
costituiscono il tessuto di una città profondamente e sordidamente malvagia.
La mediocrità che sono costretta a subire infetta la mia
vita e la mia giornata, costellandola di episodi e chiacchiere inutili, volte
sempre ad una malvagità mediocre ma feroce, fatta di pettegolezzi, invidie,
ripicche, falsità e malumori. Una malvagità che non si estrinseca in gesti
esemplari, da poter identificare e additare facilmente. Un tipo di male
particolare, che si insinua nella profondità della gente comune portandola ad
essere più contenta per una disgrazia altrui che per un lieto evento. Un po’ il
male radicale di Kant, via. Un male basso. Senza fantasia. Senza coraggio.
Misantropo, ma trattenuto nei ranghi del perbenismo e della rispettabilità.
Della facciata da brave persone, in cui seno serpeggia però il male. Il male
qualunque. Il male quotidiano. Il male represso. Il male nascosto. Il male
banale. Il male dei poveretti.
E vivere a contatto con il male dei poveretti è alquanto
faticoso. Il senso di nausea talvolta mi attanaglia e torce le budella. Mi fa
erigere muri di incomunicabilità, che mi salvaguardano dalle bassezze umane. E
che mi isolano da questo posto. Sono immune all’invidia. Alla chiacchiera. Al
pettegolezzo. A quel senso malato e angosciante di sadica superiorità di fronte
al dolore altrui. Mi proteggo in ogni modo dal serpeggiare del male dei
poveretti, mi guardo costantemente le spalle, cerco di non dare confidenza. Mi
mantengo sempre superiore. E non è facile in una città in cui anche i muri
puzzano di malignità. In cui tutti i cittadini sono dei poveretti. E dei
malvagi.
Però di fronte a questa minaccia ho imparato ad erigere
delle barriere e delle protezioni. E per quanto il male dei poveretti sia
nauseante, mai mi sarei aspettata l’irruzione nella mia vita di qualcosa che
avrebbe potuto farmi ricredere sul mio giudizio che catalogava il male dei
poveretti come la peggior piaga che affligge l’intelletto, lo spirito e l’intera
umanità.
E invece, inaspettatamente, ben peggio del male dei
poveretti, un bel giorno mi sono trovata di fronte al bene dei poveretti.
Anzitutto il bene dei poveretti, al contrario del male, non
è equamente e mediamente distribuito all’interno di migliaia di individui che
popolano questa città. No. E’ tutto completamente concentrato in un unico
individuo, che ne contiene quindi una dose concentratissima ed insopportabile.
Ed essendo l’unico portatore di tale viscido principio, egli si identifica
totalmente con esso, non avendo alcuna individualità altra. Il bene dei
poveretti e questo individuo sono la stessa cosa. Mai avevo percepito tale
principio scisso da tale individuo e mai potrò percepire tale individuo scisso
dal suo principio.
Il bene dei poveretti mi si è presentato togliendosi il
cappello di pezza sgualcita blu del nonno di Pollyanna, che indossa sempre, e
facendo un piccolo inchino. Talvolta arriva quasi a genuflettersi.
Le prime parole che pronuncia sono sempre buongiorno (e fin
qui ok) e scusa e grazie. Anzi scusi e la ringrazio, se non addirittura scusate
e vi ringrazio. Le pronuncia di fila, così, a cazzo, senza ragione. Appena
entra: Buongiorno scusi la ringrazio. E poi per tutto il tempo rimane lì, a
capo chino, strizzando tra le mani il cappello.
La sua bontà è talmente elevata che dà un senso di nausea
profondo ed indicibile. Ti fa tremare le ginocchia. Non c’è falsità nei suoi
modi così esasperatamente gentili. Sono sinceri. Sempre. Il timore reverenziale
e il rispetto esagerato che nutre verso qualunque individuo è assolutamente
autentico e profondo. Il suo bene non si estrinseca in atti buoni di
particolare valore o rarità, non va in Africa a curare i bambini o cose simili.
Lui vive nel suo essere semplice e poveretto una bontà che non è magnifica e
accecante, ma nemmeno volta alla gloria personale e al riconoscimento altrui.
Lui ha una bontà banale, scontata, vuota, semplice, povera. Esattamente come è
lui. Anche se si cerca di gettare il seme del male e dell’odio nel suo animo,
non si hanno risultati, ma solo stupefacenti riscontri dell’invincibilità di
tale principio contro qualunque tentativo di corruzione.
Ho cercato diverse volte di rivolgermi a lui dandogli del
tu, per esempio, ma senza mai scalfire la sua sicurezza nel rivolgersi a me
dandomi del Lei o del Voi. Ho cercato di fare battute ironiche, ma nell’ironia lui
vede serpeggiare il male e non la accetta, non la capisce. Il suo sorriso
costante non è un sorriso beato, né felice, né ironico. E’ il triste sorriso
della povertà. Della povertà buona. Della povertà di Pollyanna, della piccola
fiammiferaia, della famiglia del Natale presente di A Christmas carol che fa
ricredere anche Scrooge sulla propria malvagità.
Anche lui ha una famiglia. Povera. Senza televisione. Senza
riscaldamento. Hanno comprato solo la radio perché adesso fanno la collezione
della favole per la loro bambina e dentro c’è anche il cd…Collezione della
quale la bambina noterà, in età più avanzata, mancare un unico numero: il 6,
perché la storia di Barbablu non gliel’ha voluta prendere. Lì c’è un po’ di
male. E nemmeno io mi fido più tanto di leggerla adesso.
Quando l’intera famiglia si presenta al mio cospetto, sembra
di ritornare indietro di cento anni o di essere catapultati in una parabola
biblica. In uno di quei luoghi comuni per cui il bene deve essere per forza
fatto così. Come ce lo immaginiamo da sempre. Da quando eravamo piccoli e
guardavamo La casa nella prateria.
Mai avrei pensato però che tale idea totalmente astratta e
immaginaria, nonché fastidiosa per l’essere umano adulto mediamente
intelligente, che disprezza tale concentrato di banalità e luoghi comuni,
potesse esistere in carne ed ossa. E soprattutto qui, ad Alessandria, dove da
sempre regna il male e si vede.
E invece proprio qui vive l’idiota di Dostojeski. Il bene
perfetto che Kant pensava fosse idealmente raggiunto solo in Cristo, ma che
invece no. E’ qui. E non fa i miracoli. Contro la bassezza del male qualunque,
del male radicale, non poteva che esistere questo. Il bene dei poveretti. Altro
che Cristo e i Santi e Madre Teresa e Gandhi.
Io il bene lo vedo solo in lui, e mi fa talmente ribrezzo
che ormai sono totalmente votata al male e a Satana. Vi assicuro che ho
conosciuto molti satanisti e tutti molto meno inquietanti di questo individuo.
Lo vedo vivere in una casa di pietra, con il camino, e la legna da ardere. Che
mangia la zuppa marrone con il pane nero ogni sera. Che al piano di sopra ha il
nonno ammalato. Che fa giocare la bimba con le caprette o lanciandola in alto
con sullo fondo il cielo azzurro e il prato verde. Che prende l’acqua nei
secchi dal pozzetto di legno vicino a casa. Che ha la moglie che tossisce sempre e un giorno
vedrà del sangue nel fazzoletto. Che ha la bambina con i riccioli biondi che
non sa chi è Maria De Filippi. Che legge Famiglia Cristiana. Orfano.
Analfabeta. Senza lavoro. Umiliato dai ricchi cattivi che lo fanno lavorare e
lo sfruttano e lo frustano. Ma lui resiste per la sua famiglia e arriva la sera
a casa con in spalla una fascina di grano da cui sua moglie, casalinga e sempre
con il grembiule sopra l’abito lungo fino ai piedi un po’ a palloncino, fa il
pane infarinandosi leggermente il naso, dettaglio che sotto i capelli un po’
spettinati la rende bellissima ai suoi occhi (soprattutto rispetto alla
cattivissima figlia del suo capo, bionda ed elegantissima, truccata e con un
neo vicino alla bocca che pur essendo bellissima è malvagia e lui la trova quindi
ripugnante e fastidiosa). Che anche se è povero, fa l’elemosina ad un ubriacone
al lato della strada dandogli una grossissima moneta grigia che è la sua paga
della giornata. Che legge le fiabe alla bimba (ma non Barbablu) anche se è
stanco dal lavoro. Che prega prima di cenare. Che santifica le feste con
semplicità e senza fronzoli consumistici che non si può permettere e che
incarnano il demonio.
Insomma, eccolo qui il bene dei poveretti. E sì, vi assicuro,
è intollerabile. Talmente dolce e mieloso che dà la nausea. Talmente poveretto che ti fa stare male.
Perché non può esistere davvero. E invece è lì. E tu non ti senti come Scrooge che decide di diventare
buono, no, tu ti senti come Panzram e nella tua testa ripeti solo "I believe the only way to
reform people is to kill them, I believe the only way to reform people is to
kill them, I believe the only way to reform people is to kill them, I believe the
only way to reform people is to kill them" (in inglese perchè, anche se nella
tua mente, speri che il messaggio raggiunga più persone possibili).
E quindi, sì, alla fine scegli il male. Ma siccome non sei poveretta,
scegli il male che più male non si può. E quando sei lì lì pronta per passare
dal pensiero all’azione e impugnare le armi, l’unica cosa che può fermarti è
leggere Peter Sotos con in sottofondo Nicole 12 e sullo schermo della tv August
underground. E così ti riconcili con la meravigliosa e rassicurante brutalità
del mondo. In questo modo, con una certa dose di male legale, esorcizzi quel
bene che ti ha subdolamente infettato, e puoi ritornare ad essere più o meno
normale.