“La
morte sovrasta l’esserci”.
Così direbbe Heidegger.
“Il
Piccolo-del-venerdì. Lo prendo per vedere i morti”.
Così direbbe un alessandrino qualunque.
Ma la
sostanza è la stessa.
L’aspetto
più affascinante del vivere in un luogo brutto e triste è vedere
quanto la depressione di un territorio si attacchi inevitabilmente a
chi lo vive.
Vivo in
una città brutta e triste, dove il colore predominante è il grigio.
Il grigio della nebbia. Il grigio dei palazzoni industriali. Il
grigio dell’animo delle persone.
Sì,
grigio. Nemmeno nero, che ha troppo significato in sé. Il grigio,
che è esempio di mediocrità. Del mescolarsi di due opposti che
diventano qualcosa di tristemente qualunque. Un colore non
riconoscibile, senza personalità, che più di qualunque altro
esprime depressione e malessere.
Il
grigio di questa città ti si appiccica addosso come la sua umidità.
Ti entra nel corpo e lo senti dentro di te, senti che ti fa
lentamente marcire. Ti si attacca come un’immensa muffa dell’anima.
Lentamente si nutre delle tue risorse vitali. Ti divora dall’interno.
E’
impossibile vivere qui senza pensare ossessivamente alla morte.
Sarà
che tutti si sentono divorati. O sarà che la terra marcia non può
che dare frutti marci. O sarà che il pessimismo delle persone
modella anche i paesaggi e la natura circostante. Fatto sta che qui
si respira aria di morte quotidianamente.
E
soprattutto il venerdì. Giorno nel quale ogni alessandrino che si
rispetti pensa attivamente alla morte di chi gli sta intorno. Il
venerdì esce il Piccolo con la pagina dei morti. O meglio con le
pagine dei morti. Con le tantissime pagine dei morti. Ci sono proprio
tutti. E più si ama una persona, mi è stato spiegato, più si
dedica spazio al suo necrologio.
E così
il venerdì non si può mancare all’appuntamento. Non si può fare
a meno di vedere le foto in bianco e nero, stampate malamente, delle
persone che finalmente ci sono arrivate lì, sul Piccolo. Che
finalmente ci sono arrivate lì, alla morte. E che finalmente sanno
di essere state amate. E lo possono mostrare a tutti.
Il
venerdì l’alessandrino lo dedica al proprio culto dei morti. Anzi,
al proprio culto della morte. A guardare attentamente quei volti
immaginando come sarà il suo. Quale foto sceglieranno per lui. Quali
frasi.
Chi vive
qui sa perfettamente che morirà.
E no,
non è vero. Non tutti lo sanno. Tendenzialmente l’uomo vive senza
pensare alla morte, alla propria morte. Ci si sente tutti eterni in
qualche modo. Non la si pensa mai lucidamente e quando lo si fa,
terrore e sconforto gettano l’individuo nel baratro del nulla, da
cui si esce con grande fatica e solo aggrappandosi all’inutile idea
che è meglio non pensarci. Non avere paura. Ci si penserà quando
sarà il momento. Ecc ecc. E si torna a vivere. Ad esserci. E la vita
sovrasta l’esserci.
Invece
chi vive qui sa perfettamente che morirà. E ogni venerdì vuole che
quel pensiero, che lo accompagna ogni giorno, diventi reale sulle
pagine di un giornale. Chi vive qui sa che è la morte che sovrasta
l’esserci e non la vita.
Chi vive
qui impara ad amare la morte. A vederla come il traguardo della
propria esistenza. Non si piange ad Alessandria se muore qualcuno.
No. Si aspetta il venerdì per rendergli omaggio, comprando il
giornale e percependo realmente il senso della fine.
E, tengo
a precisare, chi vive qui è consapevole della propria morte, non
solo di quella altrui. Attraverso le pagine di quel giornale,
attraverso le foto e le frasi, attraverso il culto della morte ci si
avvicina pian piano a quella percezione tanto temuta dalle persone
che amano l’esserci e la vita. Ovvero che è tutto scandalosamente
transitorio. Tutto finisce. Forza e coraggio che la vita è un
passaggio. Prima o poi ci troveremo tutti su quel giornale e da
quelle pagine la nostra foto aiuterà altri giovani di belle speranze
a capire, venerdì dopo venerdì per tutta la vita, che è inutile
prendersela troppo. Quello è il tuo traguardo. Ed è un nobile
traguardo. Perché sarai d’aiuto ad altri nell’acquisire la
consapevolezza della morte. E perché lì sarai amato come mai quando
eri solamente vivo.
“La
morte è una possibilità di essere che l'esserci stesso deve sempre
assumersi da sé. Nella morte l'esserci sovrasta se stesso nel suo
poter-essere più proprio. In questa possibilità ne va per l'esserci
puramente e semplicemente del suo essere-nel-mondo. La morte è per
l'esserci la possibilità di non-poter-più-esserci.” Così direbbe
Heidegger. Se fosse vissuto ad Alessandria, avrebbe sicuramente
apprezzato il Piccolo del Venerdì e la sua lunga tradizione.
Per chi
vive qui è chiaro che la morte è superiore alla vita. Che è la
morte che tiene in mano le redini dell’esserci. Che sarà lei a
decretare quando i giochi e le illusioni finiranno.
E fin da
bambini, di venerdì in venerdì, percepisci quanto è sempre più
vicina. Percepisci che arriverà l’ultimo venerdì in cui guarderai
gli altri su quelle pagine.
Ma non
con dolore. Con consapevolezza.
Chi vive
qui scherza sulla morte. Dice “prendo il Piccolo per vedere i
morti. Chissà che ci sia anche io questa settimana”. Chi vive qui
vuole vedere la morte e vorrebbe avere la fortuna di vedere la
propria morte, su quel giornale.
Già.
Chi vive qui. Chi vive qui sa che in realtà qui non si vive. Qui si
muore.
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