10 Novembre 2011
Oggi la mia città dorme tristemente fino a tardi. Anche se dovrebbe essere un giorno di festa e allegria perché si celebra il suo santo
patrono, uno sconosciutissimo San Baudolino, che poteva fare giusto il patrono
di Alessandria.
E’ stata una
settimana di pioggia battente. I fiumi sono esondati e hanno allagato campi e
strade e case e supermercati.
Tre giorni fa pioveva così forte che i tombini rigurgitavano
acqua, anche loro stanchi e spossati dal troppo fango che avevano da smaltire.
Tre giorni fa hanno chiuso tutte le strade statali e
passavano gli elicotteri della protezione civile per comunicare ai cittadini lo
stato d’allerta.
E’ stato così bello tre giorni fa. Tutti avevamo qualcosa da
dire, da raccontarci, da condividere. Tutti con la stessa faccia, preoccupata
ed eccitata dal disastro.
Sì, oggi la mia città dorme, non ha voglia nemmeno di
festeggiare il suo Patrono. Purtroppo non è più tre giorni fa. Tre giorni fa
era viva.
Anzitutto tre giorni fa parlavano di noi in tivvù. E questo
è già tutto. Avere la Cesara Bonamici
che racconta i disastri che tu stai vivendo in prima persona ti fa sentire davvero
importante e coccolato. Wow, il mondo sa che ci siamo adesso! Qualcuno starà
pensando a noi! Forse qualcuno sarà addirittura preoccupato o fingerà di
esserlo. E’ una meraviglia pensare che, magari a 250 km di distanza da casa
tua, qualcuno sta dicendo “hai visto che disastro lì ad Alessandria”…già,
parlano di noi, pensano a noi.
Come alla figlioletta malata della famiglia, che diventa la
preferita per la sua debolezza: per lei si ha un amore particolare, un pensiero
in più nella giornata, e i fratelli e le sorelle ben presto capiscono che chi
sta male di solito viene amato di più degli altri, viene coccolato di più, il
primo pensiero della giornata di mammina andrà sempre a lei. Motivo per cui
fratelli e sorelle di persone malate sono molto spesso ipocondriaci. Sanno che
solo il dolore suscita l’amore e la considerazione degli altri.
Eh già, la nostra città, che difficilmente può essere amata
per altri motivi, conosce bene questo meccanismo. E infatti di solito nessuno
la ama. Nessuno parla di lei in tivvù. Nessuno vuole stanziare dei fondi
statali per migliorarla in qualcosa.
Ogni giorno dell’anno trascorre senza che nessuno sappia
nemmeno della sua esistenza. Non è Milano, Napoli, Firenze, Bologna, Palermo,
Torino, Venezia. Non c’è il Colosseo e nemmeno acqua e topi fino alle porte
delle case come tanto piace ai turisti. Non c’è mafia né criminalità, almeno
non di spicco, diciamo. Qualche delitto efferato sì, ma in provincia. Non siamo
di certo quei superprivilegiati di Novi Ligure. In molti non sanno neppure che
è in provincia di Alessandria e danno tutti i meriti del caso alla Liguria,
dannazione.
E questo anonimato è snervante. Tanti di noi, in fondo al
cuore, temono che se un giorno Alessandria venisse assorbita dalle viscere
della terra o integralmente rapita dagli alieni, nessuno se ne accorgerebbe.
E’ una città fantasma. Che fa da sfondo a tutte le altre
città bellissime e amate da tutti che costellano l’Italia. E’ la ragazza
bruttina che nessuno invita ad uscire, che nessun ragazzo nota, abbagliato
dalla bellezza delle sue coetanee.
Sì, in questa penombra, avvolti dalla nebbia, soffriamo in silenzio
per l’indifferenza del mondo. Soffriamo perché non abbiamo niente da
raccontarci. Perché non succede mai nulla.
Ma tre giorni fa non era così.
Certo, Genova ha cercato di rubarci la scena. Se lì non
fosse successo quel disastro esagerato saremmo stati più tranquilli e felici, perché
saremmo stati noi le superstar della settimana. Purtroppo non è andata così, ma
non ci lamentiamo di questo. Subito dopo Genova, eccoci lì. Tutti noi. Ovada, Serravalle,
Capriata, Spinetta, Castellazzo, Roccagrimalda. Alessandria! Quartiere Orti! Tanaro,
Bormida, Stura e Scrivia! Abbiamo finalmente avuto il nostro momento di
celebrità.
E tutti felici e tronfi ci siamo ritrovati a parlare di
tutto quello che avevamo visto per le strade. Nonostante la pioggia, tutti
erano in giro. Ognuno aveva un aneddoto da raccontare. Anche la persona più
insignificante e timida, si aggiungeva ai gruppi di persone a snocciolare
racconti dettagliatissimi su come aveva ripulito il suo garage dal fango. O su
come era scampato dall’esondazione del Bormida.
Certo, ognuno ha infiorettato il proprio discorso quanto più
ha potuto. Chi ha visto auto galleggiare. Chi addirittura una volante dei
carabinieri sommersa. Chi ha visto straripare torrenti e fiumi che nemmeno
esistono ad un metro da sè. Chi ha salvato il proprio cane dall’annegamento.
Tutti sono stati ascoltati. Ogni racconto era considerato
interessante e riportato alle persone che non lo avevano ascoltato
direttamente.
E non solo tutta la città, ma anche il singolo emarginato
sociale ha avuto il suo momento di gloria. Di celebrità. Di unione con gli
altri. Nessuno si è sentito solo. Ci siamo coccolati a vicenda. Tutti a
confortarci. A sperare che non fosse come l’alluvione del ’94. Ma ovviamente
contemporaneamente anche a sperare che lo fosse, per avere ancora un po’ di
quel doloroso calore che porta la disgrazia. Quella triste eccitazione, quel
dolce senso di comunione.
E ovviamente le luci della ribalta! Dello showbiz!
E anche per avere un nuovo metro di paragone e di giudizio
delle disgrazie: l’alluvione del 2011…ci ha stufato a tutti parlare del ’94.
Ormai sono passati più di 15 anni. Ci si vergogna quasi a non aver avuto altre
tragedie per tutto questo tempo.
E invece purtroppo è tutto finito. Abbiamo atteso la piena
del Tanaro col fiato sospeso, ma invece niente. Sì, ieri Spinetta si è di nuovo
allagata, ma ormai non interessa più nemmeno a chi vive lì. E’ solo rimasto
tanto da asciugare. Tanto da ripulire. Strade da rifare. Immensi laghi di fango
da osservare placidamente in silenzio.
Quel luccichio glorioso se ne è andato insieme allo stato di
allerta. Non si ha più voglia nemmeno di raccontare le proprie disavventure di
quei giorni, è tutto già sentito. Siamo tornati soli con la durezza della
realtà che ci circonda. Con molto da fare e pochissimo da dire.
E così oggi la mia città è ritornata alla sua triste normalità.
E nessuno esce di casa, non è più come tre giorni fa quando era pericoloso. Ora
se ne stanno tutti chiusi lì. A riappropriarsi con ancora più dolore della
propria solitudine, del proprio anonimato e del proprio insignificante patrono
del cazzo, di cui sicuramente non si parlerà alla tivvù.
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